La revisione dei prezzi negli appalti pubblici

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un rilevante aumento dei costi dei materiali da costruzione (calcestruzzi, il ferro e la ghisa, la carpenteria, il bitume e le materie plastiche), legato verosimilmente alla particolare congiuntura dell’emergenza sanitaria da Covid 19.

Si tratta di variazioni economiche consistenti, che superano ampiamente i valori contenuti nei prezziari regionali (che in base al disposto dell’art. 23, comma 16 del nuovo codice dei Contratti pubblici, costituiscono il riferimento principale per la determinazione dei costi di prodotti, attrezzature e lavorazioni), oscillano tra il venti ed il cinquanta per cento rispetto al prezzo inizialmente applicato e si traducono in notevoli incrementi dei costi di approvvigionamento.

In questa situazione, in base al previgente codice dei contratti pubblici si sarebbe potuto fare ricorso al meccanismo della compensazione dei prezzi. Infatti, l’art. 133 del d.lgs. 163/2006 vietava espressamente la revisione dei prezzi, ma consentiva una deroga qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, avesse subito variazioni in aumento o diminuzione superiori al 10%.

Invece, l’art. 106 del nuovo Codice prevede la possibilità della revisione dei prezzi solo “se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro”. La norma precisa anche chePer i contratti relativi ai lavori, le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari di cui all’articolo 23, comma 7, [ossia i preziari regionali] solo per l’eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà”.

Pertanto, se i documenti di gara prevedono la possibilità della revisione dei prezzi, l’impresa può presentare la relativa istanza alla stazione appaltante ed il RUP avvierà l’istruttoria; in caso contrario, si deve fare ricorso all’interpretazione normativa.

In primo luogo, si potrebbe presentare alla stazione appaltante istanza di indennizzo nei limiti previsti dall’art. 106, comma 1, lett. a) d.lgs. 50/2016, documentando la richiesta con la copia delle comunicazioni ricevute dei fornitori primari che confermano gli aumenti dei prezzi. In effetti, l’emergenza sanitaria costituisce un evento esterno al rapporto contrattuale, che impedisce di eseguire le opere secondo le modalità ed i tempi indicati in contratto; quindi, gli effetti di tale evento non possono ricadere unicamente su uno dei due contraenti.In questa ipotesi, l’istanza si fonderebbe sulla previsione del secondo comma dell’art. 1664 cod. civ. (richiamato dall’art. 30 comma 8 del D.Lgs. 50/2016) in forza della quale “se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendono notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso”. Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, l’espressione “simili” si riferisce a tutte le cause naturali non prevedibili dalle parti che alterano il rapporto contrattuale iniziale. In tal caso la stazione appaltante potrebbe riconoscere all’appaltatore un equo compenso a titolo di indennizzo nei limiti indicati dalla norma (il già citato art. 106 fa riferimento alla “eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà”).

Come ipotesi residuale (incrementi di prezzo non riconducibili alla crisi pandemica), si potrebbe ricorrere all’applicazione del primo comma dell’art. 1664 cod. civ. in base al quale “qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo”. Va infatti ricordato che, in base al già richiamato art. 30, comma 8 del nuovo codice dei contratti pubblici “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici … alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”.

In terza ed ultima istanza, l’appaltatore avrà la facoltà di valutare l’ipotesi di sciogliere il vincolo contrattuale ai sensi dell’art. 1467 del c.c. documentando l’eccessiva onerosità del contratto. Infatti, questa norma prevede che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. A fronte di ciò la stazione appaltante potrà evitare la risoluzione per ragioni di pubblico interesse offrendo di indennizzare l’appaltatore nei termini indicati.